venerdì 27 giugno 2008

Arrestato il rapresentanti de Darfur in Italia a chad



Partito democratico, adesso un'italia nuova
Articolo pubblicato in INTERNAZIONALE su www.partitodemocratico.it
il 25 giugno 2008
Rappresentante dei rifugiati del Darfur in Italia arrestato in Ciad
Accusato di spionaggio
Il Ciad ha accusato ed arrestato Suleiman Ahmed per spionaggio. Un’accusa da prendere per le molle perché Ahmed è anche il rappresentante dei rifugiati del Darfur in Italia. Come si legge su Africa news Ahmed è un uomo che da sempre lavora per il proprio popolo, da troppi anni costretto a subire crimini efferati. Ahmed, tanti anni fa, dopo aver messo in salvo la sua famiglia in un campo profughi in Ciad, venne in Italia per denunciare la mondo intero il genocidio in atto nel suo Paese, per far conoscere a tutti il dramma dei bambini soldato.

Da qualche mese Ahmed era tornato in Ciad per rincontrare la sua famiglia, per scattare qualche foto, per proseguire il suo preziosissimo lavoro. Ma qualche giorno fa (13 giugno) Suleiman Ahmed è stato arrestato dagli uomini dei servizi del Ciad in un campo profughi a nord dello Stato africano. Il governo di N’Djamena, la Capitale, ha “giustificato” l’arresto collegando Ahmed agli agenti del governo da sempre impegnati a destabilizzare l’autorità dello Stato confinante. Il Sudan infiltrerebbe agenti nei campi profughi per corrompere le autorità, per sobillare i profughi, un po’ – è sempre il governo del Ciad ad asserirlo – il lavoro che Ahmed svolgerebbe in Italia.

“Del Sudan non si parla – dichiarò Ahmed nel 2004 ad un giornalista – la stampa qui quasi ignora la tremenda guerra che sta distruggendo il mio Paese. Noi abbiamo dovuto scegliere la lotta armata dopo che il governo non faceva nulla per la nostra gente e non si riusciva a raggiungere alcun accordo politico. Nel marzo dello scorso anno abbiamo preso le armi”. Questo era ed è ciò che muove Ahmed, un sudanese che ama il suo popolo e che vide morire sotto i bombardamenti sua figlia appena quattordicenne.

Da anni la stampa internazionale e le organizzazioni non governative accusano il presidente Omar al-Bashir, salito al potere con un golpe nel 1989, e il suo Fronte nazionale islamico di perseguitare, torturare ed uccidere le etnie di religione cristiano-animista presenti nel sud del Paese e tutti coloro che si oppongono al suo regime. Nel 2003 iniziò una durissima guerra tra le forze governative e le milizie del nord, del Darfur. Omar al-Bashir fautore di uno stato islamico e fondamentalista nel 1991 sostituì il codice penale vigente con i dettami della Shari’a.

Va anche ricordato che nel ’91 Osama Bin Laden stabilì proprio in Sudan la sua base operativa, da dove se ne andrà cinque anni dopo, a causa delle pressioni statunitensi. Il 1991 fu anche l’anno in cui il presidente al-Bashir diede il via ad una serie di riforme funzionali ad accentrare il potere nelle sue mani. E’ il 2003 quando gli scontri con le milizie del Darfur si tramutano in una guerra vera e propria tanto che nel 2004 il segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, parla di pulizia etnica e nel 2005, il Sudan, ingaggia una guerra “sporca” con il Ciad. Una guerra fatta di sconfinamenti, di ruberie e devastazioni di ogni genere. Da allora i due stati si accusano vicendevolmente di continui sconfinamenti, raid e massacri ai danni delle popolazioni che vivono sul confine.

R.dS.
wwww.partitodemocratico.it

mercoledì 25 giugno 2008

Il giorno del sfolati Darfuriani






talians for Darfur e Human Rights First insieme per i diritti umani in Darfur: appello al G8 di luglio

Pubblicato il 24/06/2008 | Mauro Annarumma

Gruppo per la difesa dei diritti umani presente nei paesi del G8 e in Sudan fa appello ai leader nazionali perché nel summit di luglio sostengano la causa contro le violenze nel Darfur.

Una coalizione internazionale composta da oltre 40 Organizzazioni Non Governative provenienti da tutti e otto i paesi del G8 ha fatto oggi appello ai leader delle rispettive nazioni chiedendo una decisa presa di posizione a supporto di azioni concrete e tempestive che possano terminare la crisi nel Darfur.

La coalizione è guidata dal gruppo Human Rights First e comprende al suo interno ONG del Sudan stesso ma anche di Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Russia, Regno Unito e USA. Proprio oggi la coalizione ha inviato una lettera aperta indirizzata ai leader del G8, ai quali si rivolge per insistere in merito all’adozione di misure precise volte alla risoluzione della crisi nel Darfur, anche in conseguenza delle dichiarazioni emerse nel corso del summit tenutosi a Hokkiado, in Giappone. Tali misure includono la cessazione delle violenze, l’immediato dispiegamento di forze di pace (UNAMID), lo stop ad ogni ingresso di armi nel Darfur, la ridiscussione dei processi di pace e l’individuazione delle responsabilità, nonché delle conseguenti pene, nei confronti dei responsabili delle atrocità commesse nella regione.

“La crisi in Darfur si prende una pausa senza ragione, in attesa della riunione del G8. Questi leader hanno la responsabilità di usare la loro influenza per fare pressione sia sul Sudan che sui suoi partner, complici di supportare o addirittura alimentare direttamente le violenze” dice Betsy Apple, direttore del Programma Crimini Contro l’Umanità alla Human Rights First. “I tempi in cui si poteva mostrare affranti senza però muovere un dito per cambiare le cose sono ormai terminati. I membri del G8 ora devono esprimersi in maniera inequivocabile, impegnandosi nel garantire tutta la loro influenza per porre fine alla crisi nel Darfur”.

La coalizione chiede un’espressione più decisa e specifica rispetto a quella dello scorso anno, che includa come quello dei flussi di armi nel Darfur. Il summit del G8 fornisce l’opportunità per sollecitare i Paesi all’interruzione del trasferimento di armi nel Darfur, peraltro in violazione della Risoluzione 1591 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che impone l’embargo sulle armi proibendone la spedizione ad ogni nazione per quanto riguarda armi destinate direttamente o indirettamente al Darfur. Maggior fornitore di armi leggere del Sudan è la Cina.

La coalizione sta cercando inoltre di contrastare le violenze cha avvengono nella regione, sia attraverso un incremento negli sforzi di pace nel Darfur, sia attraverso la ridiscussione dell’Accordo globale di pace Nord/Sud. Infine, riconoscendo che pace e giustizia sono strettamente correlate, la coalizione vorrebbe che il G8 fosse assolutamente deciso nel sostenere la giustizia e l’individuazione dei colpevoli per le atrocità commesse dai diversi reparti durante il conflitto.

I membri della coalizione includono:

Canada: Canadians Against Slavery and Torture in Sudan, Save Darfur Canada, STAND Canada.
France: Collectif Urgence Darfour, Fédération Internationale des Droits de l'Homme (FIDH).
Germany: Darfur-Hilfe Verein e.V, Society for Threatened Peoples.
Italy: Comitato Collaborazione Medica (CCM), Italians for Darfur, Missionari Comboniani, No Peace Without Justice.
Japan: Human Rights Now, Japanese for Darfur.
Russia: Center for the Development of Democracy and Human Rights, The Institute of Human Rights, The Moscow Helsinki Group.
Sudan: Khartoum Centre for Human Rights and Environmental Development, Sudan Social Development Organization.
United Kingdom: Aegis Trust, International Action Network on Small Arms (IANSA), Sudan Organization Against Torture.
U.S.A.: American Jewish World Service, Americans Against the Darfur Genocide, Buddhist Peace Fellowship, Colorado Coalition for Genocide Awareness and Action, Darfur Action Group-Northwest Bronx/Yonkers, Darfur Metro, Dream for Darfur, ENOUGH,Essex County Coalition for Darfur,Genocide Intervention Network, Genocide No More-Save Darfur, Human Rights First, Humanity United, Investors Against Genocide, Jewish Council for Public Affairs (JCPA), Jewish World Watch, Jews Against Genocide, New York City Coalition for Darfur, Physicians for Human Rights, San Francisco Bay Area Darfur Coalition: Darfur Peace and Development, SaveDarfurWashingtonState, STAND, Stop GENOCIDE Now, Team Darfur, Westchester Darfur Coalition.

IL GIORNO DEL SFOLATI DARFURIANI E DELLA VERGONIA DI UN GOVERNO CHE HA GESTITO MALE LA PRIMA CENTILA DI QUESTA GUERRA TRA FRATELLI E NAZIONE UNICA DA SECOLI......AZIM

lunedì 23 giugno 2008

Darfur stupri e la resoluzione del ONU




Risoluzione 1820, no alla violenza sessuale in zone di guerra
di Anna Bono - 21 giugno 2008
Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato all'unanimità il 19 giugno una risoluzione in cui si afferma che «stupro e altre forme di violenza sessuale possono rappresentare un crimine di guerra, un crimine contro l'umanità o uno strumento di genocidio». Il Consiglio prende quindi in considerazione l'adozione di «misure contro le parti che, in situazione di conflitto armato, commettono stupri», non escludendo di deferire i colpevoli alla competente Corte Penale Internazionale dell'Aja. La risoluzione inoltre chiede a tutte le parti coinvolte in conflitti armati l' «immediata e completa cessazione» di ogni forma di violenza sessuale contro civili e rivolge al Segretario generale dell'ONU l'invito a trasmettere al Consiglio, entro il 30 giugno 2009, un rapporto che documenti i casi in cui la violenza sessuale «è stata ampiamente e sistematicamente usata contro i civili». Human Rights Watch, una delle maggiori organizzazioni non governative per la difesa dei diritti umani, ha definito la risoluzione «un atto storico». Più concretamente, Condoleezza Rice, che presiedeva la riunione del Consiglio, ha dichiarato che «la risoluzione fissa un meccanismo per far venire alla luce quelle atrocità», portando ad esempio Birmania, Sudan e Repubblica Democratica del Congo. Le parole del Segretario di Stato USA Rice evidenziano il punto debole della risoluzione che, senza dubbio, può favorire l'attivazione di un buon sistema di monitoraggio, per il quale si sono già sollecitati adeguati finanziamenti, ma che probabilmente può garantire ben poco in termini sanzionatori. È difficile infatti immaginare «misure contro le parti» che risultino davvero efficaci e men che meno può valere la minaccia di ricorrere alla Corte Penale Internazionale. Questo organismo, costituito per giudicare casi di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l'umanità, si sta in realtà dimostrando, come era prevedibile, assai meno utile di quanto promesso: principalmente perché non dispone di una forza propria per eseguire arresti e deve perciò fare affidamento sui governi, a meno di ricorrere a metodi del tutto discutibili.
Proprio in questi giorni è scoppiato un caso clamoroso. Il procuratore della Corte, Luis Moreno Ocampo, ha rivelato alcune settimane fa di aver organizzato un'operazione, peraltro fallita, per dirottare un aereo su cui viaggiava il ministro per gli affari umanitari del Sudan, Ahmed Haroun. Il ministro da oltre un anno è stato accusato di crimini di guerra nel Darfur, insieme a Ali Kushayb, colonnello delle milizie arabe janjaweed che seminano morte e distruzione tra le etnie di origine africana di quella regione. Ma Khartoum ha finora rifiutato di consegnarli alla Corte dell'Aja sostenendo che la magistratura sudanese è perfettamente in grado di amministrare la giustizia e che la Corte non ha giurisdizione per giudicare nessun cittadino sudanese per qualsivoglia crimine: senza contare che le Nazioni Unite meglio farebbero a preoccuparsi dei ripetuti episodi di violenza anche sessuale di cui si rende responsabile il personale delle missioni di pace e dei campi per profughi, inclusi i caschi blu della Unmis, la missione incaricata di vigilare sull'applicazione degli accordi di pace che nel 2005 hanno posto fine alla guerra tra nord e sud Sudan, accusati all'inizio del 2007 di centinaia di casi di violenza sessuale, per giunta su minori.
Al momento, in effetti, forse solo la Repubblica Democratica del Congo ha consegnato spontaneamente alla Corte degli imputati: per la buona ragione che si tratta dei capi di movimenti armati antigovernativi dei quali il governo congolese si sbarazza volentieri. In compenso, l'incriminazione da parte del tribunale dell'Aja di Joseph Kony, fondatore del Lord Resistance Army, il movimento responsabile di 20 anni di guerra nel nord Uganda, ha contribuito involontariamente al fallimento dei negoziati avviati due anni fa per porre fine al conflitto. Kony infatti, come altri leader antigovernativi prima di lui, pone come condizione per deporre le armi la garanzia di non essere perseguito penalmente; anzi, sull'esempio della Sierra Leone, del Burundi e del Sudan, pretende di entrare nel governo e di integrare nell'esercito i propri combattenti: sono richieste che possono apparire assurde, ma in Africa spesso sono condizioni necessarie per la pace.

Anna Bono
bono@ragionpolitica.it




Mambo

MIA FARROW NON И PEGGIO DI BUSH?

Venerdм 20 giugno 2008

Mia Farrow, ex moglie di Woody Allen, attrice e attivista dei diritti umani, ha dichiarato al “Financial Times” che si и rivolta alla Blackwater Worldwide per tutelare i profughi del Darfur. La Blackwater Usa и la piщ grande compagnia militare privata che esiste. Un esercito ben addestrato e meglio armato di mercenari che chiunque, avendo denaro, puт assoldare. Bush ha utilizzato questa Private Military...






الأمم المتحدة تحذر من "ازمة غذائية" في دارفور
حذرت الأمم المتحدة من أن الملايين من سكان إقليم دارفور غربي السودان، قد يواجهون أزمة غذائية في غضون الأشهر القليلة المقبلة، إذا لم تتخذ الإجراءات الضرورية.
وقالت أهم وكالات الغوث التابعة للأمم المتحدة، ثمة عدة عوامل قد تؤدي إلى قيام "عاصفة تامة".
وذكرت هذه الوكالات من بين هذه العوامل حصادا هزيلا، والارتفاع المهول لأسعار المواد الغذائية، وانعدام الأمن، وتعرض قوافل المساعدات الغذائية إلى الهجوم والابتزاز.
وأدت كل هذه العوامل إلى تراجع الإمدادات الغذائية في الإقليم بنسبة 40 في المائة.
ودعت الأمم المتحدة السلطات السودانية إلى تطبيق اتفاق يقضي بتوفير الحماية العسكرية لقوافللا المساعدات الإنسانية بأهم طرق إقليم دارفور.
كما طالبت الحركات المسلحة المعارضة للخرطوم في الإقليم إلى التوقف عن ابتزاز تلك القوافل، والاستيلاء على ما تنقله من معدات ومواد غذائية. وكان برنامج الغذاء العالمي التابع للأمم المتحدة قد أعلن في منتصف شهر أبريل/نيسان الماضي قرار خفض امداداته من المساعدات إلى النصف لنحو ثلاثة ملايين شخص فى إقليم دارفور في السودان بسبب انتشار عمليات قطع الطرق.