giovedì 28 febbraio 2008
Cinque anni fa la Guerra del Darfur
Hei Jenjaweed ed altri balordi sotto hanno attacato villagi donne bambini, stupri, uscidere indifese, e cose varie VITA ha scritto questo articolo che lo reporto quicome e cinque anni fa la guerra del
Darfur: cinque anni fa cominciava la guerra
di Redazione (redazione@vita.it)
26/02/2008
Oltre 400.000 morti, almeno due milioni di persone costrette alla fuga e a una vita da sfollati all'interno del Sudan, o nei campi profughi in Ciad. È il drammatico bilancio della guerra che continua a insanguinare il Darfur, nel Sudan occidentale, da ormai 5 anni: oggi 26 febbraio ricorre infatti l'anniversario dell'inizio del conflitto. Cinque anni di violenze terribili e tuttora impunite ai danni di uomini, donne e moltissimi bambini.
Le condizioni di questi ultimi sono drammatiche: il pericolo, soprattutto per le bambine, di subire violenze e abusi è quotidiano, così come quello di assistere all'uccisione dei propri cari o il trauma di essere separate dai genitori. E a rischio è anche la sopravvivenza di tanti bambini, a causa della malnutrizione e delle precarie condizioni igienico-sanitarie. Per tutte queste ragioni, pur avendo già pagato un alto prezzo con l'uccisione di 2 suoi operatoti, Save the Children non ha abbandonato il Darfur, dove è, tra le organizzazioni internazionali indipendenti, quella che sta assicurando il più ampio intervento di aiuti: 500.000 circa i bambini e gli adulti raggiunti ogni mese dallo staff di Save the Children, operativo nel Darfur occidentale dal 1989 con un ufficio di coordinamento a Geneina.
Distribuzione di cibo, approvvigionamento di acqua potabile, assistenza medica e nutrizionale, protezione e scuola per i bambini sono tra le principali attività. Nel dicembre scorso Save the Children ha distribuito 4.900 tonnellate di cibo a 380.000 fra minori e adulti, in 42 villaggi e località del Darfur. Sta fornendo acqua potabile a oltre 100,000 persone: 1.500 bambini hanno ricevuto informazioni base sulle principali misure igieniche e sanitarie.
17 gli ambulatori di Save the Children operativi nel Darfur occidentale, dove a dicembre sono stati 14.000 i pazienti assistiti e 265 le donne che vi hanno potuto partorire.
Save the Children è l'unica organizzazione non governativa ad avere attività strutturate per i bambini: circa 30.000 i ragazzi e le ragazze coinvolti in attività ricreative e parascolastiche in 30 Children Center; quasi 20.000 i minori iscritti in 38 scuole supportate da Save the Children, nelle quali solo a dicembre sono state costruite 13 nuove classi, completata la costruzione di 8 nuove scuole elementari e di 6 bagni. Tuttavia c'è ancora molto lavoro da fare per riuscire ad ottenere miglioramenti duraturi per i bambini del Darfur. L'instabilità del conflitto, l'enorme portata dei bisogni della popolazione, l'elevato numero di persone che vivono in condizioni disperate, creano in continuazione nuovi bisogni e necessità di intervento. Nonostante queste difficoltà e nonostante sia sempre più difficile raggiungere i bambini e le loro famiglie, l'organizzazione rimane ferma e risoluta nella propria volontà di continuare ad operare su questo territorio martoriato.
Darfor.
lunedì 25 febbraio 2008
Cina e il Sudan
Sudan, i cinesi negano di essere principali armatori
Il governo cinese ha tenuto una conferenza stampa per difendere la propria politica militare di armamento del Sudan, nonostante da più parti le arrivino critiche per il suo immobilismo nel non voler risolvere la crisi del Darfur.
La minoranza etnica del Darfur, che vive al confine occidentale sudanese con il Chad, patisce da 20 anni gli assalti delle milizie arabe Janjawid: un conflitto che negli ultimi 5 anni ha prodotto due milioni di rifugiati in terni, e circa 250mila morti. L'inviato speciale Cinese per il genocidio del Darfur ha spiegato oggi a Pechino alla stampa che non “esiste nessun problema nel rapporto tra noi e il Sudan, che possa avere implicazioni sul cas-Darfur – ha detto Liu Gujin – e non possiamo essere ribattezzati il primo alleato di Khartum, visto che forniamo loro solo l'8 percento delle armi”. La tesi del signor Liu – e presumibilmente del ministero degli esteri di Pechino – è che da soli Usa, Russia e Gran Bretagna forniscano i tre-quarti del fabbisogno bellico sudanese ogni anno. Questo facendo un raffronto con la media degli import di armi nella gran parte degli altri stati africani. Un metodo che potrebbe avere dei punti fagliati.
"Se anche interrompessimo domani la nostra vendita di armi al Sudan – ha spiegato Liu agli inviati esteri presenti – qualcun altro prenderebbe il nostro posto; considerate che ci sono almeno altri sette paesi che vendono armi a Khartum. E non dimenticate che i sudanesi posseggono la terza più grande industria bellica del continente, dopo Egitto e Sud africa". Secondo la stampa internazionale Pechino dovrebbe usare il proprio peso diplomatico e commerciale con Khartum per indurre il governo sudanese a un controllo maggiore delle milizie pro-arabe resesi colpevoli di stupri e massacri di intere comunità negli ultimi anni del conflitto. La Cina è il maggior partner commerciale sudanese, oltre ad essere la concessionaria quasi esclusiva di nove zone di interesse petrolifero che avranno grandi prospettive nei prossimi decenni; compagnie statali cinesi stanno ricostruendo ex novo la rete stradale ferroviaria e urbanistica del centro del paese. Intanto una forza internazionale di pacificatori (Unamid) su mandato Onu e guida dell'Unione africana, che dovrebbe essere sul campo per impedire altre violenze da gennaio, non ha ancora visto arrivare che duemila dei 26mila soldati previsti, per mancanza di fondi che dovrebbero arrivare dai maggiori donors all'interno del sistema Onu.
Il governo cinese ha tenuto una conferenza stampa per difendere la propria politica militare di armamento del Sudan, nonostante da più parti le arrivino critiche per il suo immobilismo nel non voler risolvere la crisi del Darfur.
La minoranza etnica del Darfur, che vive al confine occidentale sudanese con il Chad, patisce da 20 anni gli assalti delle milizie arabe Janjawid: un conflitto che negli ultimi 5 anni ha prodotto due milioni di rifugiati in terni, e circa 250mila morti. L'inviato speciale Cinese per il genocidio del Darfur ha spiegato oggi a Pechino alla stampa che non “esiste nessun problema nel rapporto tra noi e il Sudan, che possa avere implicazioni sul cas-Darfur – ha detto Liu Gujin – e non possiamo essere ribattezzati il primo alleato di Khartum, visto che forniamo loro solo l'8 percento delle armi”. La tesi del signor Liu – e presumibilmente del ministero degli esteri di Pechino – è che da soli Usa, Russia e Gran Bretagna forniscano i tre-quarti del fabbisogno bellico sudanese ogni anno. Questo facendo un raffronto con la media degli import di armi nella gran parte degli altri stati africani. Un metodo che potrebbe avere dei punti fagliati.
"Se anche interrompessimo domani la nostra vendita di armi al Sudan – ha spiegato Liu agli inviati esteri presenti – qualcun altro prenderebbe il nostro posto; considerate che ci sono almeno altri sette paesi che vendono armi a Khartum. E non dimenticate che i sudanesi posseggono la terza più grande industria bellica del continente, dopo Egitto e Sud africa". Secondo la stampa internazionale Pechino dovrebbe usare il proprio peso diplomatico e commerciale con Khartum per indurre il governo sudanese a un controllo maggiore delle milizie pro-arabe resesi colpevoli di stupri e massacri di intere comunità negli ultimi anni del conflitto. La Cina è il maggior partner commerciale sudanese, oltre ad essere la concessionaria quasi esclusiva di nove zone di interesse petrolifero che avranno grandi prospettive nei prossimi decenni; compagnie statali cinesi stanno ricostruendo ex novo la rete stradale ferroviaria e urbanistica del centro del paese. Intanto una forza internazionale di pacificatori (Unamid) su mandato Onu e guida dell'Unione africana, che dovrebbe essere sul campo per impedire altre violenze da gennaio, non ha ancora visto arrivare che duemila dei 26mila soldati previsti, per mancanza di fondi che dovrebbero arrivare dai maggiori donors all'interno del sistema Onu.
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