venerdì 27 marzo 2009

Israel and Usa !!!

Israel is state of terrore!! what can a woman and two girls do for a soldier with a gun !!!

Il Mossad dietro ai ribelli darfurini. E agli indipendentisti sudsudanesi
(25 marzo 2009)
Il mandato di arresto per crimini di guerra e contro l'umanità in Darfur emanato il 4 marzo dalla Corte penale internazionale dell'Aja nei confronti del presidente sudanese Omar Hasan Ahmad al-Bashir ha riportato l'attenzione mediatica mondiale sul Paese africano, ricchissimo di petrolio ma ostile all'Occidente. Un'attenzione che però sembra non riguardare i legami tra i ribelli sudanesi del Darfur (anch'essi accusati di crimini di guerra dalla Cpi) e Israele. Abdel Wahid al-Nur e il Mossad. Poche settimane prima del clamoroso annuncio della Cpi, Abdel Wahid al-Nur, leader del Movimento di Liberazione del Sudan (Slm) - uno dei due principali gruppi ribelli darfurini - era in Israele per partecipare all'annuale Conferenza di Herzliya sulla sicurezza d'Israele e per incontrare due alti ufficiali del Mossad, i servizi segreti dello Stato ebraico. Oggetto della riunione riservata, secondo il Jerusalem Post, sarebbe stato il contributo dell'Slm alla lotta al contrabbando di armi verso la Striscia di Gaza che, a detta del Mossad, passerebbe proprio dal Sudan. Secondo quotidiano Haaretz, invece, le autorità israeliane si sono rifiutate di rivelare il contenuto della discussione. Ufficio Slm a Tel Aviv da un anno. Abdel Wahid al-Nur, che dal 2007 vive in esilio a Parigi, era già venuto in Israele esattamente un anno fa, nel marzo 2008, per inaugurare un ufficio di rappresentanza del suo movimento ribelle a Tel Aviv per aiutare le centinaia di rifugiati politici che hanno trovato protezione in Israele. "Dobbiamo forgiare nuove alleanze, non più basate sulla razza o la religione, bensì sui valori condivisi di libertà e democrazia", dichiarò in quell'occasione Al-Nour. "Il Sudan che sognamo consentirà l'apertura di un'ambasciata d'Israele a Khartoum". Armi israeliane al Jem via Francia-Ciad? Negli stessi giorni di febbraio in cui il leader dell'Slm era a colloquio con il Mossad, l'altro gruppo ribelle del Darfur, il Movimento per la Giustizia e l'Eguaglianza (Jem), veniva accusato dal governo sudanese di aver ricevuto ingenti quantitivi di armi da Israele attraverso il governo di Parigi e il contingente militare francese schierato in Ciad (Eufor). Secondo Khartoum, solo grazie alle armi israeliane i ribelli del Jem sono stati in grado di conquistare a gennaio la città di Muhageriya. L'altro fronte caldo: il Sud Sudan. Ma la guerra in Darfur, che dal 2003 ha provocato quasi mezzo milione di morti, non è l'unico problema interno del Sudan. Sotto la cenere cova anche il conflitto in Sud Sudan, finito nel 2005 dopo ventidue anni e quasi due milioni di morti, ma che rischia di riesplodere in occasione del referendum indipendentista del 2011. In vista di questa eventualità, gli ex ribelli cristiani dell'Esercito di Liberazione Popolare del Sudan (Spla) che oggi governano la regione di Juba ma non i suoi giacimenti petroliferi (l'85 percento di quelli sudanesi), si stanno riarmando. Armi della 'Faina' agli indipendentisti. A loro, secondo la Bbc, era destinato il carico d'armi (33 carri armati, 150 lanciarazzi e 6 sistemi missilistici antiaerei) che il 12 febbraio la nave cargo ‘MV Faina' ha scaricato al porto di Mombasa, in Kenya, dopo essere stata sotto sequestro da parte dei pirati somali per quattro mesi. Il carico era stato riscattato con il pagamento di 3,2 milioni di dollari da parte del proprietario della nave: l'imprenditore ucraino-israeliano Vadim Alperin, sospettato di essere un ex agente del Mossad. Attraverso questo stesso canale, il Governo del Sud Sudan (Goss) avrebbe ricevuto altri rifornimenti bellici negli ultimi mesi. Il che non costituisce una novità rispetto al passato: durante la guerra civile lo Spla, oltre ad essere assistito dalle forze speciali Usa, veniva rifornito di armi da Israele, via Etiopia e Uganda. La corsa all'oro nero del Sudan. Non è un mistero che l'Occidente punti a un cambio di regime a Khartoum per avere un governo sudanese ‘amico' che riveda i contratti petroliferi con la Cina firmati dal presidente Omar Hasan Ahmad al-Bashir. Le leve che Stati Uniti, Europa e Israele stanno usando per rovesciare il suo regime sono il Darfur e il Sud Sudan, le regioni dove si concentrano i principali giacimenti petrolferi. Martedì 24 Marzo 2009
Enrico Piovesana
Intrigo internazionale in Sudan, raid contro i rifornimenti ad Hamas
Le autorità di Khartoum avevano accusato gli americani, WASHINGTON – Intrigo internazionale in Sudan. Durante la crisi di Gaza, misteriosi caccia hanno individuato e distrutto sul territorio sudanese un convoglio di armi destinato ai palestinesi di Hamas. Le autorità di Khartoum, nel rivelare l’episodio hanno fornito due diverse versioni. Inizialmente hanno parlato di 39 vittime, quindi hanno portato il bilancio ad 800 morti (200 sudanesi, il resto somali, etiopi, eritrei). Il ministro delle Infrastrutture Mubarak Saleem ha sostenuto che gli attacchi sarebbero stati due: uno all’inizio di febbraio, il secondo il 10. I camion – secondo la sua versione - trasportavano clandestini e non armi. Quanto alle responsabilità del bombardamento le autorità sudanesi dopo aver accusato gli americani hanno negato di avere informazioni precise mentre la rete tv Cbs – subito ripresa dai media di Gerusalemme - ha sostenuto che i jet erano israeliani. L’azione sarebbe rientrata nel piano d’azione ideato da Gerusalemme e Washington per contrastare il riarmo degli estremisti palestinese. Per questo gli esperti israeliani presentano l’incursione come un chiaro segnale di monito a Teheran.LA ROTTA – Da oltre due anni, Hamas, con la complicità di Sudan e Iran, ha creato una “pipeline” che ha permesso di trasferire a Gaza razzi, esplosivi, munizioni. E’ la cosiddetta rotta africana. Il materiale arriva dall’Iran, raggiunge Eritrea o Somalia, quindi prosegue verso l’Egitto attraverso parte del Sudan. Quindi con l’aiuto di alcuni clan beduini del Sinai finisce nella Striscia di Gaza grazie al reticolo dei tunnel. In alternativa al Sudan, i contrabbandieri usano come sponda lo Yemen. IL RAID – In base alle indiscrezioni della Cbs l’attacco sarebbe avvenuto in un’area desertica vicino a Mount Al Sha’anoon, a nord ovest di Port Sudan, dove i caccia hanno incenerito 17 camion e i trafficanti di scorta. Forse a bordo dei mezzi vi erano dei missili Al Fajir in grado di colpire Tel Aviv. I sudanesi, inizialmente, hanno ipotizzato che l’incursione potrebbe essere stata lanciata da una base presso Gibuti che ospita anche velivoli statunitensi. Ma le rivelazioni della Cbs che tirano in ballo Israele fanno saltare questo scenario. E sarebbe interessante capire come i jet con la stella di David abbiano bucato le difese aeree degli stati della regione. Altre domande. E’ stato l’unico blitz o ve ne sono stati altri? Sono state colpite anche delle navi? Di certo un mercantile con un carico bellico è stata bloccato a Cipro. E davvero erano armi o, come affermano i sudanesi, si trattava di clandestini? Gli analisti ritengono che per effettuare l’operazione a 1400 chilometri di distanza dal territorio israeliano gli israeliani debbano aver impiegato un buon numero di velivoli. Aerei per la guerra elettronica, rifornitori e di scorta. L’INTESA – L’attacco, chiunque sia il protagonista, ha poi risvolti internazionali non irrilevanti in quanto avvenuto in un paese terzo e al centro di un contenzioso diplomatico per il Darfur. Ma soprattutto l’incursione sembra essere il risultato del memorandum di intesa Israele-Usa per impedire le forniture di armi ad Hamas. Un accordo che Gerusalemme aveva posto come pre-condizione per accettare il cessate il fuoco a Gaza. La questione sarà prossimamente al centro di una conferenza internazionale in Canada alla quale parteciperanno rappresentanti di Gran Bretagna, Spagna, Francia, Germania, Italia, Norvegia, Danimarca, Usa e Israele.
Guido Olimpio26 marzo 2009(ultima modifica: 27 marzo
Penso che Stati Uniti e dietro lo stato ibraico ma non senti la voce della verita alora quindi scopia il terrorizmo vero, non tutto quello che fano lo stato Isrealiano e giusto e demogratico e quindi bisogna negoziare Iran ha ragione e anche la Sirya...............................................azim

giovedì 26 marzo 2009

Are the neoclonialist comming back?


Africom sceglie i privati per intervenire militarmente in Africa(22 marzo 2009)Africom, il nuovo comando delle forze armate USA per le operazioni in Africa, ha sottoscritto contratti milionari nei settori delle comunicazioni strategiche e del trasporto aereo con due aziende del complesso militare industriale degli Stati Uniti d’America. Il primo contratto riguarda il potenziamento dei servizi di comunicazione tra il Comando Africom e gli altri comandi delle forze armate USA in Europa e in Africa ed è stato assegnato alla SRA International Inc. di Fairfax (Virginia), società leader nella fornitura di tecnologie militari avanzate. SRA International consegnerà ad Africom nei prossimi cinque anni sistemi di comando, controllo e comunicazioni, hardware e software per un valore di 200 milioni di dollari. Il secondo contratto, per un valore di 26,3 milioni di dollari, riguarda l’affidamento al Phoenix Air Group di Cartersville, Atlanta (Georgia), dei servizi charter per le forze armate USA che da Stoccarda, città che ospita il quartier generale di Africom, si recheranno in Africa ed in Europa. “Il Phoenix Air Group fornirà velivoli bimotore per le operazioni di trasporto del personale e dell’equipaggiamento al continente africano”, ha reso noto il Dipartimento della Difesa. “Il periodo coperto dal contratto va dall’1 aprile 2009 sino al 31 marzo 2012 ma potrebbe essere ulteriormente prorogato”. Il Phoenix Air Group è uno dei contractor di fiducia dell’US Air Force e della NATO: da anni fornisce i velivoli Learjet 35/36 per l’addestramento dei piloti alla guerra elettronica e al bombardamento aereo e ha già svolto importanti operazioni di trasporto truppe, armi e munizioni alle principali aree di conflitto mondiali. Si rafforza pertanto la tendenza del comando USA per l’Africa di affidare ai contractor privati buona parte delle missioni più complesse e rischiose. Prime fra tutte le operazioni di supporto alle forze africane impegnate nelle cosiddette azioni di “peacekeeping”. Una recente ricerca del Dipartimento di Stato ha rivelato come buona parte degli interventi coordinati da Africom nel quadro del cosiddetto “Bureau of African Affairs-Africa Peacekeeping Program - Africap”, sono stati affidati ad aziende private del settore sicurezza. I contractor hanno coordinato il trasferimento di truppe di Benin, Mali e Nigeria in Liberia e Sierra Leone, e di militari di Ruanda e Nigeria in Sudan. Sono sempre i contractor a gestire attualmente i campi rifugiati implementati dall’amministrazione statunitense in Darfur. Dal 2003 al 2007, più di due miliardi di dollari del Programma Africap sono finiti nelle mani di aziende private USA. Si tratta di Triple Canopy (sede centrale ad Herndon, Virginia e filiali ad Abu Dhabi e Lagos, Nigeria); Northrop Grumman Corporation (una delle maggiori società costruttrici di sistemi aerei, missilistici e spaziali); MPRI (società di proprietà del colosso L-3 Communications); PAE – Pacific Architects & Engineers (appartenente ad un altro colosso industriale, Lockheed Martin); DynCorp International (uno dei più noti contractor operanti in Iraq ed Afghanistan, protagonista delle devastanti campagne di fumigazione delle coltivazioni di coca nella selva colombiana ed ecuadoriana). DynCorp è sicuramente la regina delle operazioni USA in terra africana; il suo giro di affari nel continente ha raggiunto lo scorso anno i 150 milioni di dollari, valore che corrisponde al 7% del fatturato globale della corporation. DynCorp ha esordito nel 2005 ad Akwa Ibom, Nigeria, avviando la realizzazione di uno scalo aereo ufficialmente destinato alle maggiori compagnie petrolifere statunitensi che operano nel delta del Niger, ma le dimensioni delle piste - 4.200 metri di lunghezza - lasciano presagire un suo possibile uso a fini militari (i lavori dell’aeroporto sono andati in subappalto all’azienda siciliana Gitto). L’amministrazione Bush ha versato alla società con sede in Virginia, più di 10 milioni di dollari per l’acquisto di tende, generatori e veicoli militari da destinare alle forze di “peacekeeping”, e per la movimentazione dei mezzi e del personale africano. Il Pentagono ha poi sottoscritto con DynCorp un contratto per oltre 20 milioni di dollari per il supporto alle “operazioni di sorveglianza, addestramento e peacekeeping” di alcuni importanti partner regionali (principalmente Etiopia e Liberia). Mercenari della società hanno addestrato, equipaggiato e sostenuto logisticamente la fallimentare “missione di pace” dell’Unione Africana in Somalia, realizzata con militari etiopi ed ugandesi. DynCorp è pure impegnata nell’addestramento basico della forze armate della Liberia presso i centri di Barclay e Camp Ware, a seguito di un accordo bilaterale tra il ministero della difesa di Monrovia e il Dipartimento di Stato. Nel marzo 2008 Washington ha pure affidato a DynCorp l’addestramento e l’equipaggiamento di 500 membri della Polizia nazionale liberiana che agirà congiuntamente con i “peacekeepers” di UNMIL (la missione militare delle Nazioni Unite in Liberia) in attività di mantenimento dell’ordine pubblico. Il valore di questo contratto è di 7 milioni di dollari; altri 3,5 milioni di dollari sono stati assegnati a DynCorp per la ricostruzione di alcune infrastrutture che ospiteranno il corpo della Polizia nazionale di Monrovia. Recentemente la stampa statunitense ha rivelato che potrebbe essere affidato alla corporation l’addestramento e il rifornimento delle forze armate della Repubblica Democratica del Congo. La società di sicurezza si è pure dichiarata disponibile a partecipare direttamente alla crociata contro i pirati somali in corso nelle acque del Golfo di Aden. “Siamo una compagnia in grado di fornire rapidamente i nostri servizi in qualsiasi parte del continente, dalla logistica alle missioni di peacekeeping, all’addestramento specifico delle forze armate locali per migliorare le loro capacità d’intervento aereo e terrestre”, ha dichiarato il vicepresidente esecutivo di DynCorp, Anthony Zinni, già generale del Corpo dei Marines ed ex Comandante dell’US Central Command (Centcom), con sede a Tampa, Florida. Grande conoscitore della Somalia (l’ex militare è stato il direttore operativo della disastrosa “Restor Hope” del biennio 1992-93), Zinni è uno dei più convinti sostenitori di Africom, nonché grande amico del comandante per le operazioni militari nel continente, generale William Kip Ward. Nell’elenco dei maggiori contractor USA in Africa c’è poi KBR Inc., società interamente controllata da Halliburton Corporation. KBR è stata utilizzata dal Pentagono per la fornitura dei servizi di protezione delle basi utilizzate a Gibuti, Kenya ed Etiopia dalla U.S. Combined Joint Task Force-Horn of Africa (la forza di “pronto intervento USA di 2.000 uomini nel Corno d’Africa). Altra azienda di sicurezza privata impegnata nel continente è la famigerata Blackwater Woldwide, responsabile due anni fa del massacro di 17 civili in Iraq. Washington ha affidato a Blackwater il sostegno logistico e il “pronto intervento sanitario” per le truppe USA impegnate in esercitazioni militari in Mali, Burkina Faso e Kenya. Blackwater ha pure offerto uomini e mezzi per assistere le società di navigazione in transito nel Golfo di Aden. Per prevenire le azioni di sequestro di navi cargo e petroliere, Blackwater ha acquistato una vecchia nave oceanografica, la McArthur, che ha poi ristrutturato ed armato con cannoni navali ed elicotteri lanciamissili. Gli affari africani della corporation potrebbero però subire uno stop: qualche giorno fa il presidente Obama ha deciso di non rinnovare il contratto multimilionario con Blackwater per l’addestramento dell’esercito iracheno. Al suo posto dovrebbero essere chiamate DynCorp e Triple Canopy. Lo stesso potrebbe accadere in Africa. Per intervenire negli scenari di guerra senza dover mettere a repentaglio la vita dei propri militari, Africom può contare pure sui paesi maggiormente dipendenti dall’aiuto internazionale allo “sviluppo”. Il 23 febbraio scorso, armamenti e attrezzature per il valore di 17 milioni di dollari sono stati consegnati a tre battaglioni del Burkina Faso che opereranno in Darfur. Come è stato spiegato dai diplomatici del Dipartimento di Stato, “la formazione e l’equipaggiamento fornito nell’ambito del programma di assistenza “ACOTA” è solo una piccola parte dei programmi di cooperazione militare tra gli Stati Uniti e il Burkina Faso”. Il piccolo stato africano è infatti uno dei maggiori destinatari degli “aiuti” in ambito IMET (International Military Education Training); alcune unità della polizia nazionale ricevono addestramento specifico per partecipare ad eventuali prossime operazioni di peacekeeping. “Il Burkina Faso è un grande partner del nuovo comando Africom nella lotta contro il terrorismo”, ha dichiarato il Dipartimento USA.Antonio MazzeoSudan is having problems befor and now two civil wars one finished but still a small thing and it will start again, Darfur now is a great challange to divide or to have a peace pact so as to divide all is under the groud of resourses.
Comment by Azim
Are the colonial multinational companies paying some factions of rebells to topell Bashir and have a free hand after the rebells control??? these questions will be answered but by time, China will never be a side because as a matter of fact the Chinese are dividing 50% to 50%. Can all this happen and civilians Darfurians pay for it by death and land lost?........................................comment of Abdelazim Abdella Gomaa
1885 Mohamed Ahmed El Mahadi liberate Sudan of the anglo Egypian Turckish colony and the English returned agian 1898 Lord General Kitchener and his captin Winston Churchel.
Abdelazim Abdella Gomaa

martedì 24 marzo 2009


Early signs of trouble in camps of Darfur
By Lynsey Addario and Lydia Polgreen
Published: March 23, 2009

NYALA, Sudan: The sign outside the clinic in Otash camp reads "8-hour service daily."
On Friday, Haider Ismael al-Amin lay in his mother's arms, his 10-year-old body withered and weak from dehydration after a night of vomiting. But the door to the clinic was locked. After 30 minutes of waiting, his family gave up.
"The white people used to come every day," said Hawa Hamal Mohammed, a relative of the boy. "Now the clinic is closed."
The American aid group that operated the clinic, the International Rescue Committee, was one of more than a dozen aid groups expelled from Darfur this month by President Omar Hassan al-Bashir. He accused them of cooperating with the International Criminal Court in The Hague, which had issued a warrant for his arrest on charges of war crimes in the conflict that has consumed Darfur for years.
Since then, local health workers have been struggling, with almost no medicine, to keep the clinic open on a limited basis. Thousands of people depend on it for primary care.
But on Friday it was closed altogether.
The expulsion of organizations that provided clean water, medical treatment, food and shelter for millions of Sudanese in the war-racked region of Darfur has thrown the world's largest aid operation into disarray, putting the lives of millions of displaced people at risk.
The Sudanese government has pledged that local aid groups and government agencies will fill the gap, and that assistance from the World Food Program and other United Nations agencies still operating in Darfur will help avert an immediate crisis of widespread water and food shortages.
But the enormous aid effort in Darfur, which costs more than $1 billion a year and requires more than 10,000 workers from dozens of organizations, is already slowing, aid officials here say.
Although no one yet knows how the remaining organizations will cope with the gargantuan task of keeping the most destitute alive, the levels of disease and misery in the vast camps where people who fled their homes in the conflict live are all but certain to rise. Already the most vulnerable, the oldest and youngest, are succumbing.
At the edge of Otash camp, a collection of some 30,000 people in South Darfur, the male relatives of Asha Adam dug her tiny grave. The infant girl died after suffering uncontrollable diarrhea, her family said. Such illnesses have become common, as water has become scarce in the camp and living conditions deteriorate, according to residents. The girl's father, Ahmed Abdul Majid, 55, said he had nine children.
In some highly politicized camps, residents are protesting the government's actions by refusing to accept help from organizations other than the ones that were expelled, aid workers and government officials say. Kalma, one of the biggest and oldest camps, with about 90,000 people, has been off limits to journalists for weeks, but Sudanese aid workers there have said that a tense standoff is brewing.
The water pumps in the camp require fuel, and the fuel is almost gone. United Nations and government officials have nearly 50 barrels of fuel, along with other supplies, ready to be delivered, but the residents have refused. Four people have been reported dead in a meningitis outbreak, but camp leaders have barred government health workers from going into the camp to vaccinate, aid workers said.
Al-Hadi Ahmed al-Najim, the government's humanitarian coordinator in South Darfur, said that Kalma residents had refused all efforts for help.
"Kalma is an international red card over our government's head," he said. "It is to be made clear that this is an irreversible decision. If they want facilities, we are ready to facilitate that. If they refuse, we are not going to enter by force."
The United Nations has tried to fill the gap left by the departure of organizations like Médecins Sans Frontières, which had to abandon hospitals and clinics in several hard-hit areas, and Oxfam Great Britain, which provided clean water and latrines to hundreds of thousands of people in camps across the region. Without these essential services, it will be virtually impossible to control waterborne infectious diseases, like cholera and meningitis, that often arrive with the rains, which are likely to begin in a few weeks.
But United Nations agencies like the World Food Program and Unicef relied heavily on private aid groups to carry out their programs, and while many aid groups remain in Darfur, the loss of some of the biggest has made that work increasingly difficult, aid officials said.
"We may not have an immediate crisis on our hands," said one senior aid official, speaking on the condition of anonymity because of the delicacy of operations in Darfur. "But in a few weeks, when the rains start and the hungry season begins, that is when the real impact of this decision will be felt."

Feeding centers for malnourished children were already seeing hundreds of patients a week, and those numbers normally quadruple in the lean season before the harvest. Without organizations that run the specialized clinics that feed underweight and malnourished children with fortified porridge, more children will surely die, aid workers in Darfur said.
The decision to expel the aid groups appears to have been made well before the International Criminal Court announcement, and it was carried out with ruthless efficiency, aid groups said. Government forces arrived at the offices of several charities and ordered workers to leave, and then the forces seized valuable equipment like computers, cars and generators, according to aid officials here.
"This was in the works for a long time," one senior aid official involved in Darfur relief said. "They had been waiting for a chance to strike out at these organizations."
At the United Nations, Sudan has faced intense pressure from Western countries to allow the aid organizations to resume their work. But Sudanese officials are adamant that there will be no change.
"The decision of the government of Sudan is a legitimate sovereign decision which we will never reverse, and this should not be an issue for discussion," Mohamed Yousif Ibrahim Abdelmannan, Sudan's envoy to the United Nations, told the Security Council last week.
Lynsey Addario reported from Nyala, and Lydia Polgreen from Dakar, Senegal.
asmara (GMT+04:00) - 23/03/09


ASMARA
البشير ينهي زيارته لأسمرة بجبهة ضد "دول البغي والعدوان"

استقبال حاشد للبشير في أسمرة
دبي، الإمارات العربية المتحدة (CNN)-- عاد الرئيس السوداني عمر البشير مساء الاثنين إلى الخرطوم، بعد زيارة رسمية استغرقت عدة ساعات إلى اريتريا تمثل أول جولة دولية له منذ صدور مذكرة التوقيف بحقه من المحكمة الجنائية الدولية على خلفية جرائم وقعت بإقليم دارفور.
وقال وزير الخارجية السوداني، دينق الور، في تصريحات صحفية بمطار الخرطوم، إن زيارة البشير جاءت تلبية لدعوة من نظيره الاريتري أسياس أفورقي، مشيراً إلى أن "الحشود الجماهيرية التي استقبلت الرئيس البشير في اسمرا كانت تعبر بصدق عن تضامن اريتريا حكومة وشعبا مع السودان ضد قرار المحكمة الجنائية الدولية."
من جانبه أشار محجوب فضل بدري، السكرتير الصحفي للبشير، إلى أن الزيارة "كانت فرصة لتكوين جبهة عريضة لمناهضة دول البغي والعدوان والمنظمات الدولية المشبوهة التي تسعي لتجريم السودان،" لافتاً إلى أن أفورقي "أعلن وقوف بلاده حكومة وشعبا إلى جانب السودان ضد مزاعم المحكمة الجنائية الدولية."
وأضاف أن البشير: "ثمّن الموقف الاريتري وطالب بضرورة فتح الحدود بين السودان واريتريا حتى يتمكن مواطنو البلدين من التنقل بواسطة البطاقة الشخصية باعتبار أن منطقة القرن الأفريقي منطقة تجارية فضلا عن أنها منطقة ترابط بين الشعوب." وفقاً لوكالة الأنباء السودانية.
وكان الرئيس السوداني قد وصل إلى العاصمة الاريترية، أسمرة، صباح الاثنين في زيارة خارجية هي الأولى منذ إصدار المحكمة الجنائية الدولية مذكرة اعتقال بحقه بدعوى ارتكاب جرائم حرب وجرائم ضد الإنسانية في دارفور.
وجاءت زيارة البشير بعد قليل من إصدار هيئة علماء السودان، فتوى تدعو البشير إلى عدم السفر إلى الدوحة للمشاركة في القمة العربية التي تستضيفها العاصمة القطرية في نهاية الشهر الجاري، كما تلي تشديد مدعي عام المحكمة الجنائية الدولية، لويس أوكامبو، بأن البشير عرضة للاعتقال بمجرد خروجه من الأراضي السودانية.

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