Darfur: un fallimento internazionale
di Antonella Napoli
Dal Sud Darfur arrivano poche ma drammatiche notizie. La situazione si aggrava di giorno in giorno. Si susseguono segnalazioni di attacchi ai villaggi dell’area ad est di Nyala, capitale del Sud Darfur. I morti sarebbero oltre un centinaio in soli tre giorni. Eppure gli organi di informazione, e di conseguenza l’opinione pubblica, sono a conoscenza di un solo raid avvenuto nei dintorni di Mouhagiriya. L’unica agenzia che aggiorna costantemente sul conflitto in Darfur, l’Apcom, ha diffuso domenica scorsa la notizia che una quarantina di persone erano state uccise e 12mila costrette alla fuga dal villaggio, a seguito degli attacchi sferrati da miliziani arabi. Fonte, l'organizzazione non governativa Human Rights Watch.Gli operatori volontari non hanno potuto fornire dettagli sul numero esatto di vittime e la portata dei danni - difficili da accertare - anche perchè le missioni umanitarie non hanno accesso alla zona. Quello che l’Apcom non dice, o che non sa, è che gli eccidi sono stati perpetrati in molti altri villaggi, attaccati dalle spietate milizie janjaweed che non si sono ‘limitate’ a incendiare case e rubare bestiame. Queste azioni, secondo alcuni osservatori umanitari che vogliono mantenere l’anonimato. vanno inquadrate nella strategia di distruzione e di terrorismo nei confronti della popolazione che sostiene i gruppi ribelli. Per le organizzazioni non governative non è altro che il proseguimento del piano degli ispiratori di tali violenze (per molti il regime sudanese), ovvero l’annientamento delle etnie - non arabe - che popolano il Darfur. Tutto questo a fronte dell’ennesima iniziativa pubblica del presidente del Sudan, Omar al Bashir, sul quale pende una richiesta di incriminazione della Corte penale internazionale per genocidio. Bashir ha proposto un tavolo di colloqui di pace nella provincia dove si stanno susseguendo gli scontri. Khartoum chiede, in cambio, che il Consiglio di sicurezza dell'Onu tenga ‘congelati’ eventuali procedimenti internazionali nei suoi confronti. I responsabili di alcune associazioni operanti sul posto sostengono che i combattimenti contrappongono la tribù dei Maaliya (arabi) a quella dei Zaghawa (africani), e le milizie arabe ai ribelli dell'Slm. Queste fonti però non sono in grado di stabilire se i miliziani agiscano indipendentemente dal governo. L’Unamid, intanto, ha promosso una serie di incontri ‘riconciliatori’ tra le tribù, per risolvere i problemi relativi al bestiame, una delle principali cause degli scontri fra etnie. Certo lascia un po’ interdetti il limite dell’ambito di azione della missione Onu – UA, che oltre ad offrirsi come mediatore dovrebbe proteggere la popolazione del Darfur con operazioni di peacekeeping. Il 2008 doveva essere l’anno della speranza per la martoriata regione del Sudan e invece continuano a susseguirsi feroci attacchi e migliaia di persone convivono ogni giorno con malnutrizione e violenza. Dal 31 dicembre 2007 è ufficialmente partita la nuova missione dei caschi blu ma dei 26mila uomini previsti per il dispiegamento della forza di pace, sono arrivati ad Al Fasher, cuore del comando dell’Unamid, circa seimila militari - per lo più cinesi - che si sono affiancati ai settemila caschi verdi dell’Unione africana che dal 2004 avrebbero dovuto assicurare il controllo dell’area in conflitto. Cosa che in questi anni non sono riusciti a garantire.I massacri sono continuati, attualmente si stimano (fonte Onu) tra i 300 e i 400 mila morti e oltre 2 milioni e mezzo di rifugiati. E’ dunque chiaro che il contingente autorizzato dalla risoluzione approvata all'unanimità dal Palazzo di Vetro nel 2007, e rinnovata lo scorso agosto, è rappresentata da una parodia, una farsa mediatica che ha visto semplicemente i caschi verdi dell’Ua indossare quelli blu dell’Onu. A tutto ciò va aggiunto che mancano gli elicotteri indispensabili per la perlustrazione dell’area in conflitto, grande quattro volte l’Italia. Insomma si sta consumando nell’indifferenza di tutti il fallimento di questa missione, E i media tacciono, negando ogni diritto all’informazione su una tragedia che sembra destinata a non trovare fine. Antonella Napoli
di Antonella Napoli
Dal Sud Darfur arrivano poche ma drammatiche notizie. La situazione si aggrava di giorno in giorno. Si susseguono segnalazioni di attacchi ai villaggi dell’area ad est di Nyala, capitale del Sud Darfur. I morti sarebbero oltre un centinaio in soli tre giorni. Eppure gli organi di informazione, e di conseguenza l’opinione pubblica, sono a conoscenza di un solo raid avvenuto nei dintorni di Mouhagiriya. L’unica agenzia che aggiorna costantemente sul conflitto in Darfur, l’Apcom, ha diffuso domenica scorsa la notizia che una quarantina di persone erano state uccise e 12mila costrette alla fuga dal villaggio, a seguito degli attacchi sferrati da miliziani arabi. Fonte, l'organizzazione non governativa Human Rights Watch.Gli operatori volontari non hanno potuto fornire dettagli sul numero esatto di vittime e la portata dei danni - difficili da accertare - anche perchè le missioni umanitarie non hanno accesso alla zona. Quello che l’Apcom non dice, o che non sa, è che gli eccidi sono stati perpetrati in molti altri villaggi, attaccati dalle spietate milizie janjaweed che non si sono ‘limitate’ a incendiare case e rubare bestiame. Queste azioni, secondo alcuni osservatori umanitari che vogliono mantenere l’anonimato. vanno inquadrate nella strategia di distruzione e di terrorismo nei confronti della popolazione che sostiene i gruppi ribelli. Per le organizzazioni non governative non è altro che il proseguimento del piano degli ispiratori di tali violenze (per molti il regime sudanese), ovvero l’annientamento delle etnie - non arabe - che popolano il Darfur. Tutto questo a fronte dell’ennesima iniziativa pubblica del presidente del Sudan, Omar al Bashir, sul quale pende una richiesta di incriminazione della Corte penale internazionale per genocidio. Bashir ha proposto un tavolo di colloqui di pace nella provincia dove si stanno susseguendo gli scontri. Khartoum chiede, in cambio, che il Consiglio di sicurezza dell'Onu tenga ‘congelati’ eventuali procedimenti internazionali nei suoi confronti. I responsabili di alcune associazioni operanti sul posto sostengono che i combattimenti contrappongono la tribù dei Maaliya (arabi) a quella dei Zaghawa (africani), e le milizie arabe ai ribelli dell'Slm. Queste fonti però non sono in grado di stabilire se i miliziani agiscano indipendentemente dal governo. L’Unamid, intanto, ha promosso una serie di incontri ‘riconciliatori’ tra le tribù, per risolvere i problemi relativi al bestiame, una delle principali cause degli scontri fra etnie. Certo lascia un po’ interdetti il limite dell’ambito di azione della missione Onu – UA, che oltre ad offrirsi come mediatore dovrebbe proteggere la popolazione del Darfur con operazioni di peacekeeping. Il 2008 doveva essere l’anno della speranza per la martoriata regione del Sudan e invece continuano a susseguirsi feroci attacchi e migliaia di persone convivono ogni giorno con malnutrizione e violenza. Dal 31 dicembre 2007 è ufficialmente partita la nuova missione dei caschi blu ma dei 26mila uomini previsti per il dispiegamento della forza di pace, sono arrivati ad Al Fasher, cuore del comando dell’Unamid, circa seimila militari - per lo più cinesi - che si sono affiancati ai settemila caschi verdi dell’Unione africana che dal 2004 avrebbero dovuto assicurare il controllo dell’area in conflitto. Cosa che in questi anni non sono riusciti a garantire.I massacri sono continuati, attualmente si stimano (fonte Onu) tra i 300 e i 400 mila morti e oltre 2 milioni e mezzo di rifugiati. E’ dunque chiaro che il contingente autorizzato dalla risoluzione approvata all'unanimità dal Palazzo di Vetro nel 2007, e rinnovata lo scorso agosto, è rappresentata da una parodia, una farsa mediatica che ha visto semplicemente i caschi verdi dell’Ua indossare quelli blu dell’Onu. A tutto ciò va aggiunto che mancano gli elicotteri indispensabili per la perlustrazione dell’area in conflitto, grande quattro volte l’Italia. Insomma si sta consumando nell’indifferenza di tutti il fallimento di questa missione, E i media tacciono, negando ogni diritto all’informazione su una tragedia che sembra destinata a non trovare fine. Antonella Napoli
Si non si dialoga con rebelli e capi tribu con grande consenso e compreso il governo del Bashir non si arriva a nulla e sara sembere guerra e guerriglia e rapimenti uscizione e anche bambini soldati che fin d'ora nel Darfur non si e visti ma ci sarrano ........................................Azim