Sulle tracce dell'antica Nubia
di Emilio Radice
Sudan. Piramidi, emozioni e scoperte nel deserto dei faraoni neri, in un Paese che custodisce millenni di storia
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LE IMMAGINI
Comunque sia, è bene armarsi di buon senso. Poi via, attraverso il deserto, in una dimensione che è di maggiore libertà, fino a raggiungere il Nilo fra la Terza e la Quarta Cataratta. Ed ecco Old Dongola, i bei palmeti sul fiume, i campi arati con i buoi, i villaggi con le porte decorate con mille colori, la gente gentile che accoglie i visitatori e offre il chai. Siamo nel cuore della Nubia, le radici africane dell'Egitto, dove i faraoni cercavano oro, schiavi e donne di bellezza leggendaria, belle tuttora. Alcune ti trafiggono gli occhi con lo sguardo, quasi sfacciate. Poi via, deserto ancora, cammelli, scorci d'un Nilo pre-moderno, con feluche e campi arati. Miraggi che tremolano di calore in lontananza.
Fino alla magia di Kerma, con le tombe incise di geroglifici sulle rocce a strapiombo in riva al fiume e il piccolo museo dei Sette Faraoni: trovati intatti in un buco di terra nel 2003 sono belli da mozzare il fiato. Ovvio, a questo punto, che ci siano anche le piramidi: sulla strada per Karima, a Nuri, nei pressi del grande tempio di Jebel Barkal, la "montagna sacra" dell'antico regno di Napata, patrimonio mondiale dell'Unesco. Poi, piegando verso sud, le tante aguzze piramidi della necropoli reale di Meroe, dove i re nubiani si rifugiarono per sfuggire all'avanzata degli Egizi.
Ma fra una pagina di storia e l'altra c'è la gente. Ed è in un piccolo punto del deserto di Bayuda che vorremmo concludere questo racconto del Sudan: il cratere di El Atrun, uno dei pochi posti al mondo dove si torna indietro di un paio di millenni. Ci si arriva attraverso piste sabbiose e capanne di pastori che sembrano nidi di uccello. Nel cratere ci si infila attraverso un bordo sbrecciato, ed è un incantesimo: sul fondo del vulcano una ventina di donne nomadi raccolgono da un pozzo acqua salmastra e la spargono in vasche di fango. Le loro vesti sono macchie di azzurro, di giallo, di verde. Tutto il resto è bruciato dal sole. Poi attendono che l'acqua evapori e loro, accosciate per ore, con le mani raschiano il sale fangoso, ne fanno sacchi che poi caricano su carovane di asini e cammelli. Tutto accade con un caldo soffocante, un caldo che non dà tregua. È così da millenni, salvo il fatto che ora c'è qualcuno che le osserva. Noi. (12 settembre 2013)
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